Ammetto che senza il supporto di mia moglie probabilmente non avrei aperto questo blog e quasi sicuramente non sarei diventato un consulente filosofico. Ed è grazie alle sue letture e ai suoi suggerimenti che trovo sempre nuovi stimoli che pungolano la mia attività. L’ultimo di questi suggerimenti è stato un saggio di Nick Romeo sul The New Yorker: When Philosophers Become Therapists
Lungi dal voler recensire o ripetere quando già detto nell’essay vale la pena sottolineare come negli Stati Uniti parlare di consulenza filosofica (philosophical-counselling) non sia materia per pochi eletti. In Italia, a mio avviso, si è ancora distanti dal poter dibattere apertamente – per un pubblico non di nicchia si intende – della novità della consulenza filosofica, anche se è doveroso constatare il crescente numero di filosofi che forniscono una qualche forma di consulenza individuale.
Come si legge nell’articolo, negli Stati Uniti esistono due associazioni professionali di consulenti filosofici, la National Philosophical Counseling Association (N.P.C.A.) e l’American Philosophical Practitioners Association (A.P.P.A.). Anche in Italia ci sono più organizzazioni, ad esempio quella in cui mi sono formato e di cui sono socio: AiCoFi (Associazione Italiana Consulenza Filosofica). Organizzazioni simili esistono in Germania (dove di fatto è nata la Consulenza filosofica negli anni ’80), India, Spagna, Romania, Norvegia e molti altri paesi.
Aver letto l’articolo mi ha confermato alcune delle intuizioni comuni di tutti i filosofi che diventano terapisti (consulenti), in particolare come si legge del caso descritto di David:
During their first few meetings, “I kind of tested her,” David told me. He steered the discussion to abstract ideas from one of his favorite thinkers, the seventeenth-century philosopher Baruch Spinoza. They discussed Spinoza’s ethics and his views on God and the infinite. Amir’s depth of knowledge impressed him, but she was also quick to acknowledge when he made insightful points. He started revealing more about his personal dilemmas.
La filosofa che si cita e di cui si legge nella seconda parte dell’articolo (ammetto che non conoscendola è stata una lettura veramente interessante) è Lydia Amir.
Sono interessanti due passaggi, qui il primo:
Philosophy is both a natural and a strange resource for helping people resolve the problems of life. Ancient philosophical traditions such as Stoicism and Buddhism focussed on practical ethics and techniques for alleviating suffering, but much modern philosophy seems to aim to express suffering, rather than reduce it. “Life is deeply steeped in suffering,” Schopenhauer wrote. “At bottom its course is always tragic, and its end is even more so”
Risolvere i problemi della propria vita con strumenti propri o aiutare ad esprime la sofferenza? Sono due prospettive sul lavoro del consulente che coesistono così come può essere stimolante leggere alcuni aforismi dal Manuale di Epitteto o alcune pagine memorabili di Schopenhauer. In una consulenza filosofica si possono provare entrambe le strade e, spesso, iniziare a dire la propria sofferenza è il primo passo per poterla affrontare. E qui veniamo al secondo spunto:
“My view is that it’s about thinking,” Amir said, of her counselling work. “It’s not developing skills of listening and being empathic, which philosophers are not especially trained to do. It’s personal tutoring in philosophy.” There is, she claims, “no other discipline that teaches you how to think better when it relates to your life”
Andare dal consulente filosofico – sempre come ospite, mai come paziente – non è andare a ripetizioni di filosofia, ma è il miglior modo per imparare a pensare meglio, in particolare quando pensiamo alla nostra vita. Si tratta di allenare la capacità – che già abbiamo – del pensiero critico, e di scoprire che questa risorsa può davvero esserci utile per affrontare il corso tragico (nel senso greco) delle nostre vite.