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Idee idee idee

da Una goccia appesa a una ringhiera

“La verità è sempre e senza eccezione qualcosa di eccezionalmente fragile,  e lo stesso vale anche per il concetto di filosofia”

Adorno

Perché rivolgersi a un filosofo e non a uno psicologo? O psichiatra? O psicanalista? O perché no, ad un coach motivazionale? 

É una delle domande più ricorrenti che mi sono posto – e chi mi hanno rivolto amici e conoscenti – durante questi due anni e mezzo di formazione alla Scuola Parresia di AiCoFi (Associazione Italiana Consulenza Filosofica) e per la quale ho abbozzato una risposta provvisoria: perché non tutto il dolore è patologico. Tante volte la sofferenza non nasce da squilibri psico-fisici diagnosticabili tramite il DSM, quanto piuttosto da weltanschauungen – visioni del mondo – troppo anguste, ristrette, fossilizzate, rigide, coatte, in ogni caso non idonee ad affrontare i cambiamenti della propria vita e i mutamenti che, nella contemporaneità, si sono fatti troppo rapidi e imprevisti per essere facilmente assimilati e interiorizzati. Nei momenti di crisi e di buio, di crollo delle certezze che fino a ieri avevano regolato la nostra vita, non è “patologico” porsi domande; sottoporre a verifica le proprie idee, riconsiderare la propria visione del mondo in un dialogo che avviene su un piano di tendente parità – dove il consulente filosofico aiuta il consultante a scoprire le proprie incongruenze o le contraddizioni di una visione del mondo che si rivela inadatta alla vita che si sta conducendo e ai suoi cambiamenti – non significa essere allo stadio che precede il ricovero in clinica.

Del resto, le nostre sofferenze psichiche, i nostri disagi esistenziali – che come vuole la psicoanalisi sarebbero dipendenti sempre da conflitti interni, da traumi remoti, da coazioni a ripetere esperienze antiche (pattern) e in noi consolidate – il più delle volte sono figli dalla nostra visione del mondo troppo angusta, troppo sclerotizzata, troppo irriflessa per consentirci da un lato di comprendere il mondo in cui viviamo e dall’altro di reperire un senso per la nostra esistenza, quindi delle buone ragioni per vivere in accordo con noi stessi.
Se questa ipotesi fosse vera, perché non prendere in considerazione la Consulenza filosofica come una terapia delle idee?

Ma chi si prende cura delle idee oggi? L’industria farmaceutica è fra le prime candidate in assenza di altri attori.
Il disagio esistenziale e l’inquietudine hanno cambiato forma: non più generata dal conflitto interiore tra passioni e ragione che, su larga o piccola scala, era stato il campo di gioco dei riti del mondo, ma dal conflitto tra la propria visione del mondo e la vita reale. Se non tutto il dolore è “patologia”, una risposta a questo genere di sofferenza e di disagio, meglio della psicoterapia, la può dare la filosofia, nata in Grecia nel V secolo a.C. non solo come conoscenza, ma come pratica di vita:

“La vita filosofica consiste dunque solo nell’applicare ogni istante teoremi che si possiedono, per risolvere i problemi della vita? Di fatto, quando si riflette su ciò che implica la vita filosofica, si avverte come ci sia un abisso fra la teoria filosofica e il filosofare come azione vivente. Anche l’artista pare accontentarsi di applicare regole. Ma c’è una distanza incommensurabile fra la teoria astratta dell’arte e la creazione artistica. Ora nella filosofia non si tratta solo di creare un’opera d’arte, ma di trasformare se stessi. Vivere realmente da filosofo corrisponde a un ordine di realtà totalmente differente da quello del discorso filosofico”


P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica

Tali erano le scuole filosofiche greche prima che la filosofia, amputando se stessa, si disinteressasse della vita e divenisse solo conoscenza teorica, assestandosi su un terreno che oggi le scienze di giorno in giorno erodono. 

I consulenti filosofici riconducono la filosofia alla sua origine, seguaci in questo dell’avvertimento di Socrate per il quale: “Una vita che non metta se stessa alla prova, non è degna di essere vissuta“. Anche se talvolta, al pari di Socrate, sono costretti a dire: “Ma il persuadervi non è cosa facile” (Apologia di Socrate, 38A). 

Morte di Socrate, Jacques-Louis David

Questo vento primaverile di rinnovo della filosofia, riposta di nuovo al centro dell’agorà, lo si deve, in particolare, al filosofo tedesco Gerd B. Achenbach e alla sua riflessione, a partire dal 1981, anno in cui aprì il primo studio di philosophischen praxis, letteralmente Pratica Filosofica (successivamente tradotto in italiano con il termine Consulenza filosofica). 

Il principio ispiratore è il recupero della filosofia – divenuta troppo autoreferenziale e astratta – alla concretezza del vivere. 

“Così nasce la domanda: se non è questo (se non è, cioè, una terapia né un trattamento), che cos’è allora? Questa è la domanda sulla consulenza filosofica […]. L’uomo è un essere complesso e non può limitarsi a vivere o esistere. Volente o nolente, deve prendere posizione sulla propria vita. Per questa ragione egli produce pensieri. Ma non è tutto: l’uomo è anche in grado di riflettere sui propri pensieri e spesso fa uso di tale capacità. Che egli sia capace di riflessione sui suoi propri pensieri significa che l’uomo è un essere costituzionalmente filosofante. In altre parole: egli non ha semplicemente pensieri (come si hanno mani per afferrare), ma si confronta con essi”


Gerd. B. Achenbach

L’assunto su cui poggia è che il filosofo contribuisca a far comprendere meglio, al singolo individuo, le modalità di conoscenza e di interpretazione della realtà, dei propri pensieri, permettendo così di superare una statica circolarità del pensiero che gli impedisce di risolvere problematiche esistenziali, decisionali, relazionali o professionali.

Da laureato in filosofia mi sono sempre chiesto che cosa volesse dire “vivere la filosofia”, farla uscire dalle aule universitarie, e solo grazie all’incontro con Nicoletta Poli e la conseguente frequenza della Scuola Parresia – quindi la scoperta di filosofi come Gerd. B Achenbach, mai incontrato in cinque anni di università – che ho realizzato questa possibilità: rivitalizzando e dando un senso nuovo a tutte le letture universitarie, e non solo, che mancavano di una vera e propria cornice di senso. 

Fra le pratiche filosofiche sperimentate durante il biennio, nel mio tirocinio mi sono misurato nella consulenza filosofica individuale grazie all’ausilio di tutti gli strumenti euristici e al metodo sperimentato nella Scuola Parresia. Come giustamente ricorda N. Poli in Vite contro vento è infatti necessario per il filosofo dotarsi, più che di un metodo da seguire pedissequamente, un diario di bordo:

“Non esiste un metodo unico con cui i consulenti filosofici si possano riferire e, per quanto mi riguarda personalmente, posso solo dire di utilizzare, come dicevo, un diario di bordo, che mi permettessi navigare in mare aperto insieme alla persona, con una sorta di kit attrezzato di carta nautica, bussola, altimetro, sestante, binocolo, radiogoniometro, ecoscandaglio e anemometro, in modo da potere manovrare abbastanza serenamente il timone in mezzo alla tempesta, perché come scrisse Senenca, ‘Non esiste vento favorevole per chi non sa verso quale porto andare’ ”

N. Poli

È con questo kit, alla pari dei filosofi dell’antica Grecia, che ho affrontato il mare insieme alla mia ospite del tirocinio.