Di cosa si parla al Festival di Venezia all’epoca dello sciopero degli sceneggiatori e della latitanza delle star? Non di film, come si dovrebbe. Durante l’estate abbiamo assistito a due grandi campioni d’incassi: Barbie e Oppenheimer. Quest’ultimo sono riuscito a vederlo con mia moglie, in una delle prime fughe da neo genitori, grazie ad una proiezione pomeridiana in stile nouvelle vague. Di quel fascino parigino, però, c’è stato ben poco – e chi poteva immaginarselo a Rozzano [sic!] – e anche il film, come ha detto un mio collega italo americano: “It’s been too flat“. Sì, in effetti è stato un gran film, ma è rimasto un po’ troppo in superficie. Ma di questa superficie, segnata da tante sconnessioni, buchi, rampe, ho deciso di approfondirla filosoficamente dopo il film lasciando aperte alcune domande.
Ecco allora un percorso – che vorrei condividere con te, lettore – compiuto nelle settimane seguenti al 23 agosto (data di uscita del film).
Un film che ho rivisto subito è stato Hiroshima mon amour di A. Resnais. Come disse M. Duras (la quale ha scritto la sceneggiatura): “Resnais? Un miracolo di purezza. Il piacere di fare del buon cinema. Neanche la minima traccia in lui di commercialità. Non lo ha mai consentito”. Ecco, “la minima traccia di commercialità”, cioè senza il commento didascalico a eroi o presunti tali,
“Volevamo creare in un certo qual modo degli anti-eroi, la parola non è assolutamente esatta, ma esprime bene ciò a cui pensavamo”
A. Resnais
Probabilmente non proprio lo stesso pensiero di C. Nolan. Tutto, nel suo film, accade nella testa di Oppenheimer, anche lo scoppio della bomba ad Hiroschima. Ma che cosa provoca nello spettatore l’assenza della realtà? La realtà dei volti giapponesi sfigurati che invece Resnais ci obbliga a vedere. Quale narrazione ci spinge più lontano dall’orrore delle guerra e dal pericolo atomico?
Proseguendo il percorso, sul fronte della letteratura italiana e internazionale, ci sono alcuni testi che meriterebbero di essere menzionati e letti. Alcuni sono molto recenti, un altro un po’ più datato.
Quest’ultimo, La scomparsa di Majorana di L. Sciascia, è illuminante in alcuni suoi passaggi riguardo l’esperienza parallela della corsa alla bomba atomica degli scienziati di Los Alamos e i “colleghi” rimasti in Germania.
“La struttura organizzativa del « Manhattan Project» e il luogo in cui fu realizzato per noi si sfaccettano in immagini di segregazione e di schiavitù, in analogia ai campi di annientamento hitleriani. Quando si maneggia, anche se destinata ad altri, la morte – come la si maneggiava a Los Alamos – si è dalla parte della morte e nella morte. A Los Alamos si è insomma ricreato quello appunto che si credeva di combattere. Il rapporto tra il generale Groves, amministratore con pieni poteri del « Manhattan Project», e il fisico Oppenheimer, direttore dei laboratori atomici, è stato di fatto il rapporto che frequentemente si istituiva nei campi nazisti tra qualcuno dei prigionieri e i co mandanti. Per questi prigionieri, il «collaborazionismo» era un modo diverso di esser vittime, rispetto alle altre vittime. Per gli aguzzini, un modo diverso di essere aguzzini. Oppenheimer è infatti uscito da Los Alamos annientato quanto un prigioniero « collaborazionista » dal campo di sterminio di Hitler”
L. Sciascia, La scomparsa di Majorana
E ancora:
“Il suo dramma – che non ci commuove affatto, a cui soltanto riconosciamo un valore di parabola, di lezione, di ammonizione per gli altri uomini di scienza – è propriamente il dramma, vissuto a livello individuale, soggettivo, di un nefasto « collaborazionismo » che molte migliaia di persone hanno vissuto (nel senso che ne sono morte) oggettivamente, in quanto ne sono state oggetto, bersaglio. E speriamo che altre é più vaste vendemmie di morte non vengano da questo, non ancora infranto, « collaborazionismo»”
L. Sciascia, La scomparsa di Majorana
Un affondo che ci pone quesiti filosofici non indifferenti riguardo le modalità di raggiungere gli obiettivi prefissati. Los Alamos come un campo di concentramento?
Ma se Sciascia poteva ancora spingersi a dire che il dramma di Oppenheimer “non lo commuoveva” era perché in parte si sforzava ancora di capire un mondo sempre più indecifrabile.
Ed è il caso del secondo suggerimento: Quando abbiamo smesso di capire il mondo di B. Labatut. Attraverso la riscrittura di alcune delle scene madri della scienza contemporanea, ci si potrà soffermare su personaggi che sono scomparsi – al pari di Majorana – oppure su uno dei più grandi fisici di tutti i tempi: W. Heisenberg. Il fisico tedesco che, per inciso, conobbe e trascorse un certo tempo insieme a Majorana per discutere di fisica, fu anche una figura controversa, forse tanto quanto Oppenheimer: Heisenberg rimase infatti in Germania per sviluppare le sua teoria quantistica e…la bomba atomica. Il tema che ci si pone è la libertà della ricerca scientifica indipendentemente dallo stato e dal sistema di governo che lo guida. Per questo la storia di Heisengerb – e il suo parallelo con Oppenheimer è ancora più entusiasmante: il primo non consegnò la bomba ad Hitler, mentre il secondo non solo la consegnò a Truman, ma si spinse anche a consigliare come e dove utilizzarla.
Ultima tappa di questo percorso è il piccolo capolavoro di Stefano Massini che, come già Lehman Trilogy, anche Manhattan Project “è una ballata fluviale che racconta una storia americana con radici in Europa e conseguenze globali”. Anche qui la fisica e la scienza dei quanti fanno da padroni. Nel corso della pièce, a poco a poco, il personaggio di spicco diventa Robert Oppenheimer, scienziato dal profilo inquieto e sempre combattuto, votato fin da bambino alla ricerca di una logica a oltranza in grado di proteggerlo dai suoi mostri interiori. Proprio a lui toccherà il compito di pronunciare il definitivo via libera alla costruzione della bomba atomica, in un crescendo di tensione che va di pari passo alla travolgente ascesa della macchina bellica di Berlino e dell’Impero giapponese.
Anche in Manhattan Project si abbandona la superficie di Nolan per addentrarsi nei misteri della fisica, o meglio, nella mente degli scienziati che hanno cambiato per sempre il volto del mondo, che abbiamo smesso di capire.
Ai Profeti perciò avrebbe detto: “Nel dentro del dentro del dentro c’è qualcosa che non riesco a tradurre in equazione, è un’energia troppo potente, sfugge a ogni mia pretesa di controllarla, aiutatemi voi”
S. Massini, Manhattan project